Cos’è il fascino quando si somma alla grazia? E’ Audrey Hepburn che all’alba scende da un taxi sulla Fifth Avenue. Ha una tazza di caffè in mano, indossa un abito nero, una collana di perle, ha il volto seminascosto da un grosso paio di occhiali di tartaruga e sgranocchia un croissant mentre ammira i monili nella vetrina di Tiffany.
Esatto. E’ la prima scena di Colazione da Tiffany, film di Blake Edwards targato 1961. Dunque ci siamo, quest’anno l’opera che ha lanciato nell’immortalità Audrey Hepuburn compie 50 anni. E’ prevedibile che ne sentiremo parlare spesso nel corso dei prossimi mesi. Associato a libri, mostre, eventi speciali ed a qualche aggettivo che ne disegna l’iperbole: cult, classico, immortale, iconico. Ed è tutto vero, visto che a mezzo secolo di distanza un poster di Holly Golightly (per chi non lo ricordasse è questo il nome della protagonista) che fa timidamente capolino dalla sua spalla è sempre tra le decorazioni da parete più vendute all’Ikea (e in tutto il mondo).Non volendo fermarsi alla superficie; sul film, la sua protagonista e sull’impatto che ha sortito sull’immaginario le cose da dire sono infinite. E’ chiaro che senza Audrey Hepburn il film varrebbe molto, molto meno. Anche la canzone di Harry Mancini Moon River pare abbia conquistato l’Oscar proprio in virtù dell’esecuzione che ne fece l’attrice, distrattamente seduta su una scala antincendio. Per la Hepburn, invece, nonostante la migliore interpretazione della sua carriera niente statuina. L’Oscar glielo soffiò da sotto il naso “La Ciociara” Sofia Loren. Storia di altra intensità.
Ad ogni modo arrivare al risultato finale di Colazione da Tiffany non fu proprio una passeggiata; tratto dall’omonimo racconto di Truman Capote c’è chi afferma che in un primo momento si pensò addirittura che lo stesso scrittore potesse interpretare il protagonista maschile, Paul Varjak (uno scrittore) la Paramount rifiutò considerando l’idea di dare la parte a Steve McQueen. La spuntò George Peppard del quale a voler essere benevoli ci si ricorda ben poco nell’equilibrio del film (e questo significherà pure qualcosa). La leggenda hollywoodiana dice invece che per Holly Golightly, l’autore avrebbe voluto Marilyn Monroe o anche Elizabeth Taylor. Non si sarebbero escluse Jane Fonda e Shirley MacLaine, ma davanti alla scelta finale Capote pare che sbottasse, Audrey no, non era nel suo ruolo! Anche Blake Edwards non doveva esserci, il film doveva essere diretto infatti da John Frankenheimer. Insomma, nella nascita di una leggenda l’elemento di casualità non è secondario.
E troppo casuale quanto inverosimile fu l’aver scelto un caricaturale Mickey Rooney per il ruolo del giapponese Mr Yunioshi, oggi considerato anche dai fan un elemento fuori luogo in una storia d’amore altrimenti perfetta.
Una storia d’amore perfetta, forse, ma niente affatto una “buona” storia. Holly è infatti una prostituta d’alto bordo, seppure la storia di Capote venisse in qualche modo “sterilizzata” dalla pudica Hollywood, che pur non spingendosi fino al punto di ripristinare la verginità di Holly, la rende così adorabile che il commercio del suo corpo: 50 dollari per ogni metaforico “viaggio alla toilette” potrebbe essere inteso alla lettera.
Tirando le somme nel film Holly è una donna bambina ha bisogno di essere salvata da un uomo che si innamora di lei proprio per questo (le dice bullescamente che non può badare a se stessa). E lei capitola, fino al punto del non ritorno, quel bacio finale che molti intendono come uno dei momenti più romantici della storia del cinema. Nel racconto di Capote, Holly (un’affascinante cosa selvaggia) scappa in Sud America e questo sarebbe stato certo un finale più intrigante.
Sta di fatto che il fascino della Hepburn va a subissare tutti i difetti del film. Un fascino che è entrato a piedi pari nella moda dei decenni successivi: grazie anche – ma non solo – a quel tubino nero disegnato da Hubert de Givenchy e ancora riproposto da tutti gli stilisti che contano.
Tuttavia 50 anni dopo, Holly Golightly trascende la semplice moda, è diventata nella sua un simbolo di qualcosa di completamente diverso. Forse perché col suo abito nero, le perle e il lungo bocchino ha raccontato alle donne (di ieri e di oggi) come abbandonare la loro immagine familiare ed essere assieme sexy e sofisticate.
Eppure, come scrive Barry Paris nella biografia dell’attrice “Aveva gli occhi enormi e le sopracciglia folte, un collo incredibilmente lunghi e sottili ed era troppo alta per gli standard del tempo”, e infatti Audry ha finito per rappresentare non solo un nuovo look, ma di una nuova femminilità. L’esatto opposto europeo della dea americana del sesso.